Articolo comparso su ContrastO nr. 18 (1999)

Arrivederci Roma
di Paolo Moriconi e Andrea Pollet

Un approccio al dialetto romano (anche detto romanesco) è un piccolo viaggio che ci porta nel mondo ironico, ingegnoso, strafottente e un po’ lassivo della città stessa che lo ha generato. È anche un viaggio nella storia degli ultimi secoli.

Fino al secolo scorso il governo della città è rimasto saldo nelle mani del Papa-Re e di un'aristocrazia decadente mentre i romani, che hanno smesso di parlare il latino già da secoli, hanno visto passare nella loro città gli eserciti del centro Europa (sacco di Roma), i ”cattolicissimi” spagnoli, qualche Papa francese e innumerevoli capi della polizia tedeschi (le famose guardie svizzere) e si sono rassegnati a vivere sopportandoli tutti sotto il motto di "o Franza o Spaggna, basta che se maggna!".

Nella Roma popolare imperversavano i cosiddetti bulli di quartiere, e le statue... parlavano.

Già, fin dal XVI secolo, le critiche all’arroganza e alla corruzione delle classi dominanti a Roma si facevano anonimamente. Era nata l’usanza di appendere di notte cartelli satirici su statue poste in luoghi della città ben frequentati, così che la mattina seguente chiunque potesse leggerli prima che fossero rimossi dalle guardie. Quest’uso ci ha lasciato un’eredità di divertentissimi sonetti e detti in dialetto che ci raccontano la vita di quei tempi, vista dalla parte del popolo.

Le statue di Roma non hanno mai smesso di parlare. Anche nel 1938, in occasione della visita di Hitler a Roma, una di loro disse:

Povera Roma mia de travertino!
T’hanno vestita tutta de cartone
pe’ fatte rimira’ da ‘n imbianchino!

(Per l'occasione Mussolini fece costruire interi edifici finti per impressionare l'alleato).

Forse una delle figure più tipiche della Roma popolare e quindi del suo dialetto è, come accennato prima, il bullo di quartiere. Tra l'altro sembra proprio che il termine derivi dal tedesco "Bulle", toro, vocabolo che indica un uomo violento e attaccabrighe. Divertente scoprire che il vocabolo abitualmente considerato "romano de Roma" in realtà ha origini tedesche!

In molti quartieri veniva chiamato "er più", il migliore, infatti la fissazione di questi uomini era non perdere l'onore e rispettare, fino alle più assurde conseguenze, la parola data, cosa che li rendeva un ottimo argomento di conversazione ma anche di sberleffo da parte di ogni sorta di commedianti; è stata una fortuna, perché ci ha permesso di ritrovarli in molte opere della commedia dell'arte, con tutta una serie di capitani di ventura, così come nel teatro moderno, a raccontarci "de quer tempo che nun c'è ppiù".

Una delle più riuscite e conosciute "macchiette" è certamente quella che troviamo nella commedia di Garinei e Giovannini, Rugantino. Splendidamente interpretato più volte dall'attore comico Enrico Montesano, è stato da questi così descritto: «Mi è piaciuto per il suo amore per la battuta (Mejo perde ‘n amico che ‘na bona risposta, [ndr]). Gli piaceva lo sberleffo contro il potere, sbeffeggiando i signori, ... Sembra uno che se la prende per un nonnulla, ma dietro c'è sempre un'insofferenza, perché è amante della libertà. Ha un problema, è vero, quello "de magnà". È linguacciuto, le prende, ma l'ultima parola resta a lui».

Nel Rugantino possiamo trovare una delle canzoni più romantiche della storia del teatro moderno: sotto le stelle di Roma Rugantino, al primo appuntamento con la sua amante, prega la sua città di aiutarlo, e canta "Roma nun fa la stupida stasera, damme 'na mano a faje dì dde sì...", e lei sulla strada verso lo stesso appuntamento canta "Roma nun fa la stupida stasera, damme ‘na mano a famme dì dde nò...".

Non può mancare all'appello dei bulli la macchietta creata dal grande Ettore Petrolini (1884-1936): Giggi er bullo (1903), che si presenta così:

C'è chi dice ch'io so' un prepotente
perché so' un bullo dar gaiardo e bello
ma nun m'importa, nun me serve gnente,
chi vo' parlà co' me cacci er cortello.

per poi continuare così:
...volevo falli a pezzi tutti quanti,
ma quelli lì erano in tanti
a me me toccò abbozzà.
Ciò preso, è vero, quarche cortellata
ma l'ho lassati annà
perché la squadra s'era avvicinata
nun li potetti fà.

Un altro grande, divertentissimo poeta romano è stato Trilussa.

Autore anch'egli di numerosissime poesie e storielle in romanesco; riportiamo l'inizio di una di queste: Picchiabbò

"C’era una vorta un Re che se faceva chiamà Pipino decimosesto perchè c’ereno stati una quindicina de Pipini prima de lui. Come omo era piuttosto bruttarello perchè ciaveva un pappafico rosso fatto a tirabucione che faceva ride puro a vedello aritrattato su le carte da mille".

Ma la lista degli autori romani non si è certo esaurita, e troppo spazio bisognerebbe dedicare a quei nomi che ci hanno fatto sognare e divertire in questo dialetto... Fiorenzo Fiorentini, Alberto Sordi, Anna Magnani, Lella e Aldo Fabrizi, Franco Califano, Carlo Verdone, Antonello Venditti, Gabriella Ferri... forse fra tutti possiamo ancora mettere una citazione: tra la nuova generazione degli autori in romanesco il gruppo di musica demenziale ”Latte e i suoi derivati” con la loro Serenata [Cantata a squarciagola!!]:

Affacciate alla finestra Nina adorata!
Che, te vojo cantà 'na serenata!
Nun sò né buzzuro né villano!
Ma sei té ch'abbiti all'urtimo piano!!

Eine Annäherung an den romischen Dialekt ist wie eine kleine Reise in die ironische, geniale, rüpelhafte und etwas laszive Welt der Stadt in der er entstanden ist. Es ist auch eine Reise in die Geschichte der letzten Jahrhunderte.

Bis zum letzten Jahrhundert lag die Regierung der Stadt fest in den Händen des Königlichen Papstes und einer dekadenten Aristokratie, während die Römer, die schon seit Jahrhunderten kein Latein mehr gesprochen hatten, die Truppen Zentraleuropas (Plünderung Roms), die "ultra-katholischen" Spanier, einige französische Päpste und unzählige deutsche Polizeichefs (die berühmte Schweizer Garde) durch ihre Stadt ziehen sahen, so daß sie sich damit abfanden, sie alle zu ertragen, unter dem Motto "ob Frankreich oder Spanien, Hauptsache, es gibt zu Essen".

Im Volk wüteten die sogenannten "Bulli" (Halbstarken) des Viertels und die Statuen... sprachen.

Genau, schon im 16. Jahrhundert übte man die Kritik an der Arroganz und der Korruption der herrschenden Klasse in Rom anonym aus. Es bestand der Brauch, nachts satirische Kärtchen an den Statuen zu befestigen, die an belebten Plätzen der Stadt standen, so daß sie am nächsten Morgen von jedem gelesen werden konnten, bevor sie von den Polizei entfernt wurden. Diese Sitte hat uns ein Erbe lustiger mundartlicher Sonette und Sprüche hinterlassen, die uns vom damaligen Leben aus Sicht des Volkes erzählen.

Roms Statuen haben nie aufgehört zu sprechen. Sogar im Jahr 1938, anlässlich des Besuchs Hitlers, sagte eine von ihnen:

Mein armes Rom aus Travertin!
Man hat dich ganz in Pappe gehüllt
um dich von einem Anstreicher bewundern zu lassen!

(Zu diesem Anlass ließ Mussolini ganze Gebäude aus Pappe errichten, um den Verbündeten zu beeindrucken).

Eine der charakteristischsten Figuren des römisches Volkes und damit seines Dialektes ist vielleicht, wie bereits angedeutet, der "Bullo" des Viertels. Der Begriff scheint sogar vom deutschen Wort "Bulle" abzustammen, im Sinne eines gewalttätigen und angriffslustigen Mannes. Es ist schon komisch, daß dieses Wort, das man gewöhnlich als "römisch aus Rom" angesehen hat, in Wirklichkeit deutschen Ursprungs ist.

In vielen Stadtteilen wurde er "er Più" genannt, der Beste, und tatsächlich waren diese Männer darauf fixiert, nur nicht die Ehre zu verlieren, das gegebene Wort unter allen (noch so absurden) Umständen zu halten, was sie zu einem tollen Gesprächsthema machte, aber auch zur Zielscheibe des Spottes von seiten der Komödianten – zum Glück, denn daher finden wir sie in zahlreichen Stegreifkomödien als eine ganze Reihe von "Capitani di ventura", wie auch im modernen Theater, in dem sie uns "von der Zeit, die nicht mehr ist, erzählen.

Eines des gelungensten und bekanntesten Originale ist sicherlich Rugantino aus der Komödie von Garinei und Giovannini. Der Schauspieler Enrico Montesano, der diese Rolle mehrfach hervorragend gespielt hat, beschreibt ihn wie folgt: «Er gefiel mir wegen seiner Liebe zur Schlagfertigkeit (besser einen Freund verlieren als eine gute Antwort [Anm.d.Verf.]). Er mochte den Spott gegen die Macht, die Verhöhnung der edlen Herren,... Scheinbar regt er sich über jede Kleinigkeit auf, aber dahinter steckt immer Unduldsamkeit, denn er liebt die Freiheit. Er hat ein Problem, das ist wahr, das "des Futterns". Er ist ein Lästermaul, muß zwar einiges einstecken, behält aber immer das letzte Wort.».

Im Rugantino finden wir eines der romantischsten Lieder der Geschichte des modernen Theaters: Unter dem Sternenhimmel von Rom, vor seiner ersten Verabredung mit seiner Geliebten bittet Rugantino seine Stadt um Hilfe und singt "Rom, mach mir keinen Quatsch heute abend, hilf mir, daß sie ja sagt...", und sie, auf dem Weg zur gleichen Verabredung, singt "Rom, mach mir keinen Quatsch heute abend, hilf mir, daß ich nein sage...".

Beim Appell der Bulli darf Giggi er Bullo (1903), das vom großartigen Ettore Petrolini (1884-1936) geschaffene Original, nicht fehlen, das sich so vorstellt:

Manche sagen, daß ich brutal bin,
weil ich ‘n Bullo, geil und schön bin,
aber das kratzt mich nicht, ich brauch' nichts, / wer mit mir sprechen will, soll sein Messer zücken.

und dann geht es so weiter:
...ich wollt' sie alle in Stücke hauen,
aber die waren zu viele
ich mußte 's schlucken.
Stimmt, ich hab''n paar Messerstiche abbekommen / aber ich hab‘ sie gehen lassen, / weil die Polizei kam.
Da konnt‘ ich sie nich‘ fertig machen.

Ein anderer großer, witziger römischer Dichter war Trilussa, auch er Autor zahlreicher mundartlicher Gedichte und kurzer Geschichten. Hier der Beginn eines seine Werke: Picchiabbò.

"Es war einmal ein König, der sich Pipino der Sechzehnte nannte, weil es vor ihm schon fünfzehn Pipini gab. Er war ein eher häßlicher Mann, weil er ein rotes Ziegenbärtchen in Form eines Korkenziehers hatte, so daß sogar sein Konterfei auf den Tausenderscheinen lächerlich aussah".

Aber die Liste der römischen Autoren ist hiermit ganz sicher nicht ausgeschöpft, und viel zu viel Platz müßte man denen widmen, die uns in diesem Dialekt träumen und lachen ließen... vielleicht können wir noch ein Zitat aus der neuen Generation der Autoren, die in römischem Dialekt schreiben, anführen: die Blödel-Musiker "Latte e i suoi derivati" mit ihrer Serenade [aus vollem Halse gesungen!!]:

Zeige dich am Fenster, angebetete Nina!!
Denn ich will dir eine Serenade singen!!
Ich bin weder ein Hinterwäldler noch ein Grobian!!
Aber du wohnst im obersten Stock!!!

Diversamente da molti altri dialetti, la struttura della frase romanesca rimane simile a quella italiana; ciò che differisce maggiormente sono le singole parole.

Fa eccezione l’uso della locuzione vocativa, fondamentale nella lingua latina ma ormai completamente dimenticata in italiano. Nel dialetto romanesco se questa è rivolta ad una persona specifica, la forma più usata è quella in cui il nome dell’interlocutore, troncato alla penultima sillaba, è preceduto dalla particella vocativa a (equivalente all’italiano o).

Nella trascrizione del dialetto romano non vi sono regole specifiche di ortografia, corrispondenti alla pronuncia delle singole parole. Per questo motivo, a volte, una parola può essere scritta in diversi modi. Il suono può cambiare ma anche l’autore può lasciare il lettore libero di interpretare la pronuncia del vocabolo.

Anders als in vielen anderen Dialekten ähnelt die Struktur des römischen Satzes derjenigen des italienischen; die Hauptunterschiede betreffen die einzelnen Wörter.

Eine Ausnahme stellt die Vokativ-Form dar: fundamental im Lateinischen, total vergessen im Italienischen. Im römischen Dialekt ist die gebräuchlichste Form der Anrede die, bei der die letzte Silbe des Namens des Gesprächspartners weggelassen wird und die Vokativ-Partikel a vorangestellt wird (entsprechend dem italienischen o).

Im römischen Dialekt gibt es keine speziellen, auf der Aussprache der einzelnen Wörter beruhenden Rechtschreibregeln. Daher kann das gleiche Wort auf verschiedene Weise geschrieben werden. Der Klang kann sich ändern, aber der Autor kann auch dem Leser die Freiheit lassen, die Aussprache selbst zu interpretieren.

Signore,... = A signò,...

Ragazzi,... = A regà,...

Spesso la vocazione viene rafforzata anteponendo la particella ahò (= hei):

Hei, Francesco,... = Ahò, a Francè,....


Larga la foglia, stretta la via,

si v'ho scocciato la corpa è mia

Tricolore

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